La storia della nostra Tradizione Culinaria, piatto dopo piatto.
I primi piatti sono costituiti principalmente di prelibate pietanze che mantengono inalterata la loro preparazione da secoli. Il primo prodotto caratteristico che non trova eguali o simili in Italia è il pane toscano, caratterizzato dalla mancanza di sale. Pare che l'usanza risalga al XII secolo quando, al culmine della rivalità fra Pisa e Firenze, i pisani bloccarono il commercio del prezioso cloruro di sodio.
Persino Dante ricorda quest'uso nella sua Commedia, quando afferma che in esilio ha provato lui stesso
« [...] come sa di sale lo pane altrui [...] » (Paradiso, XVII 58-59)
In Toscana, la sacralità del pane, ovvero l'importanza di non buttarlo via ma di utilizzarlo anche quando è raffermo, è testimoniata da una lunga serie di antiche ricette ancora molto diffuse: la panzanella, la panata, la ribollita, l'acquacotta, la pappa al pomodoro, la fettunta, la zuppa di verdura, la minestra di cavolo nero.
I secondi piatti sono caratterizzati dalla loro semplicità, che non vuol dire né povertà né improvvisazione. Semplicità sia nella preparazione dei piatti che nell' abbinamento dei prodotti tipici – dagli arrosti al pesce, dai formaggi ai saporiti insaccati naturalmente senza dimenticare la famosa “fiorentina”.
Caratteristica della tradizione culinaria toscana per eccellenza è l'uso di carni bianche e di selvaggina. I prodotti dell'aia del podere, dove pascolano liberamente polli, tacchini, oche, faraone e piccioni insieme coi conigli ed colla selvaggina come la lepre ed il cinghiale, il fagiano e l'istrice costituiscono da sempre il menu delle grandi feste. Il maiale anch'esso è molto usato, basti pensare al famoso salame toscano, al prosciutto conservato sotto sale, alle salsicce ed ai prodotti particolari come il buristo anch'esso frutto dell'ingegnosità della povera gente.
Da non perdere l'arista" stecchettata con aglio e rosmarino, i "fegatelli " di maiale cotti allo spiedo nella retina o infilati su stecchi con alloro e alternati a crostini di pane, o i "fegatelli" di pollo che entrano nella minestra in brodo e che, con la milza di vitello, sono l'ingrediente dei "crostini" ad apertura del pranzo. Chi non poteva permettersi la carne portava in tavola uova, legumi, ortaggi. Non mancava il modo di insaporirli: aglio, cipolla, erbe aromatiche (mentuccia, "ramerino", nepitella), sale e pepe, assai diffuso in una terra di mercanti come la Toscana.
Gli insaccati vanno dalla "finocchiona", un grosso salame insaporito con i semi di finocchio, alla "soppressata", galantina di carne di testa con lingua, spezie e pistacchio, ai prosciutti di maiale e di cinghiale, alle salsicce e ai sanguinacci. Lungo il litorale toscano si mangia un ottimo pesce che acquista un sapore forte per l'abbondanza di peperoncino. Il "cacciucco" è un piatto tipico di Livorno; squisite sono le triglie alla livornese; a Pisa e dintorni si preparano le "ceè", anguille neonate cotte nell'olio, salvia e aglio.
Il formaggio toscano è per eccellenza il pecorino. Il più pregiato è quello delle "crete" senesi e aretine dove fioriscono i fiori di assenzio che danno al latte un aroma particolare. La qualità più pregiata è il "marzolino" della zona del Chianti.
Dolci leccornie Nella tradizione dolciaria Toscana si trova il riflesso di due momenti magici: il Medioevo delle grandi individualità commerciali comunali e la signoria de' Medici dei forti interscambi con le corti europee.
Nei dolci la prima epoca è testimoniata dal Panforte, dai Ricciarelli e Cavallucci fatti di miele, frutta secca, e spezie. Del secondo periodo è rimasta l’eredità di Cantucci di Prato, Cialdoni e Brigidini. Poi sullo sfondo della grande storia, la tradizione popolare ha sfornato preparazioni semplici e sostanziose, prive di creme al contrario di molti dolci tipici italiani, fatte di pani dolci variamente arricchiti. In questo contesto si collocano il Buccellato (forma rotonda o allungata), il Berlingozzo, la Schiacciata con l'uva, il Castagnaccio e i Necci. Immancabile compagno di ogni dolce toscano e il Vin Santo, che nella versione “occhio di pernice”, proveniente da uve rosse, trova la sua massima espressione